Ho visto il nome Montale per la prima volta quando, studente all’università di Cambridge, ho trovato una vecchia copia della rivista curata da T.S. Eliot, The Criterion (Il criterio). Questa conteneva una traduzione dell’Arsenio di Montale, fatta da Mario Praz. Gli eruditi di una letteratura straniera non sono sempre attendibili quando provano a scrivere nella lingua di quella letteratura. E scrivere poesia può essere per loro un incidente mortale. La traduzione di Arsenio è scritta in un inglese mai sognato nella mia isola. Ma io, nell’innocenza della mia gioventù, e senza una parola d’italiano, ho sentito attraverso le parole grottesche di Praz qualcosa di straordinario, l’impressione di una sensibilità stranamente chiusa in sé ma di una forza tenace. In quel periodo non conoscevo le parole famose di Montale in Auto da fé, millenovecensosessantasei: “Avendo sentito fin dalla nascita,” scrive Montale, “una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia.” (Charles Tomlinson)
Il volune raccoglie contributi di vari autori in occasione del Convegno del Premio Letterario “Lerici – Golfo dei Poeti” del 1996: Paolo Lagazzi, Giorgio Cavallini, Paolo Montale, Attilio Bertolucci, Charles Tomlinson e Marco Cattaruzza (quest’ultimo vincitore della sezione “Tesi di laurea”).